da Molière
Regia e adattamento di William Jean Bertozzo
LA TRAMA:
La vicenda che si dipana nei suoi tre atti dinanzi agli occhi dello spettatore è solo all'apparenza complessa, sviluppandosi tutta attorno al tema dell’amore.
Ottavio, figlio del signor Argante, viene da questi promesso in matrimonio alla figlia del signor Geronte. Egli però è innamorato di Giacinta. Con la complicità di Nerina - balia della giovane – ed approfittando della lontananza del padre, Ottavio conclude segretamente le nozze con l’amata.
Al contempo, l’amico Leandro - figlio del signor Geronte - rischia di perdere per sempre la sua giovane innamorata, Zerbinéta, non avendo i denari necessari per riscattarla dagli zingari che l’hanno rapita.
L’imprevisto ritorno dei due vecchi genitori, Argante e Geronte, complica le cose: come farà Ottavio a confessare d’essersi già sposato, rifiutando così il matrimonio già combinatogli dal padre con la figlia del vecchio più ricco (ed avaro) della città? E come farà Leandro ad ottenere da quello spilorcio del proprio genitore la cifra necessaria per liberare la propria amata, oltreché per fargli accettare la relazione con una ragazza di così bassa levatura sociale?
Per raggirare i due vecchi giungeranno a proposito le astuzie di Scapìn, servo scaltro di Leandro, spalleggiato nelle sue ribalderie dal servitore di Ottavio - Silvestro - e da altri complici: egli riuscirà con le proprie furberie a sottrarre ai due vecchi i denari per i giovani risolvendo così i problemi finanziari degli innamorati.
Ma come faranno gli innamorati a superare le imposizioni paterne e le convenienze coniugali? Ci penserà il destino - eterno deus ex-machina nelle vicende umane - a dipanare la matassa, con le agnizioni finali su Giacinta (che si scoprirà essere la figlia che il signor Geronte aveva avuto in seconde nozze in quel di Taranto, quindi sorella di Leandro) e su Zerbinéta (riconosciuta, dal braccialetto, essere la figlia perduta del signor Argante, quindi sorella di Ottavio).
E, tuttavia, come farà Scapìn a non essere punito dai vecchi che ha turlupinato e che lo hanno smascherato di tutti gli imbrogli? Per Scapìn, le furberie sono il suo Fato: egli è destinato a trovarne sempre di nuove per trarsi sempre, alla bisogna, da ogni impaccio.
L'OPERA:
Molière debutta con "Les fourberies de Scapin" al Théâtre de la Salle du Palais-Royal, nella sua Parigi, il 24 Maggio del 1671. L’opera è strutturata secondo i canoni tradizionali della Commedia dell’Arte: tanto nelle dramatis personae (due vecchi, due innamorati, due innamorate, due servi, una balia, i complici) quanto nelle azioni teatrali (intrighi, lazzi, furberie e agnizioni finali). Forse un omaggio a quei colleghi italiani, guidati da Tiberio Fiorilli alias Scaramuccia, da cui tanto Molière aveva preso ed appreso e con i quali aveva condiviso arte, tempo e spazio teatrali. Forse un tributo (l’ultimo) a quel mondo farsesco della propria gioventù teatrale - mai dimenticato - di cui aveva percorso ogni sentiero prima di dedicarsi alla creazione di quei capolavori della commedia di costume che renderanno immortale sul palcoscenico il farceur et comédien du Roi.
NOTE DI REGIA:
Lo Scapìn è un'opera del tutto fuori dal tempo, un puro intreccio, un divertissement in cui la fantasia - dell’autore e del protagonista - si scatena in un accumulo parossistico di situazioni. Il gioco è volutamente scoperto ed il poeta non nasconde mai i suoi mezzi e le sue fonti (Plauto, Terenzio, Cyrano de Bergerac, etc.), anzi, li espone bene in vista. Sfida lo spettatore a chi la spara più grossa nonché a farsi irretire dalla finzione: si comprendono così i tanti "doppi" di questa commedia: i due innamorati e le due innamorate (tutti egualmente sfortunati e disperati), i due vecchi padri ostinati ed avari, i due servitori azzeccagarbugli, dei quali uno - servus et dominus - è il vero padrone della vicenda.
"Tutto nel mondo è burla". Incarnata magnificamente dalla figura di Scapìn, la Ragione Umana svela le follie che si aggirano sulla terra in veste di convenzioni. Le affronta tutte a testa alta, prendendosi il gusto della sfida, sbaragliandole e burlandosene a gran voce in compagnia dello spettatore. E se, infine, dovrà ammettere di aver pure Lei difetti e limiti, sarà una Ragione pronta per prima a ridere di sé stessa.
Un divertimento, nutrito d’intelligenza, che abbiamo inteso arricchire - adattandolo alla koinè veneta - con poesie e canzoni, proponendoci di recuperare ed accrescere in questo modo il ritmo dell'affabulazione, il gusto dell’intreccio e il piacere del raccontare "contàndola e cantàndola".
William Jean Bertozzo